Utilizzare per il riscaldamento la biomassa legnosa (legna o pellet) è una decisione sempre più frequente per le famiglie italiane, che la reputano una scelta vincente dal punto di vista economico e ambientale. Questo avviene soprattutto nelle campagne, dove c’è ampia disponibilità di materia prima, derivante da potature e, più in generale, dalle normali attività agricole.
Ma se dal punto di vista economico si tratta sicuramente di un’opzione valida, si può dire lo stesso dal punto di vista ambientale? Le correnti di pensiero sono molte e diametralmente opposte, ognuna con valide argomentazioni dalla sua parte.
Sicuramente, dal punto di vista delle emissioni di CO2, il contributo della biomassa, per la sua stessa natura, è nullo o comunque molto vicino allo zero, visto che essa assorbe nel suo ciclo di vita la stessa quantità di anidride carbonica che viene emessa durante la sua combustione. È chiaro però che, perché questo avvenga, la produzione della materia prima deve avvenire localmente, in modo da evitare lunghi viaggi su gomma.
Un problema di maggior rilievo è invece rappresentato dalle emissioni di particolato (PM 2.5), ossidi di azoto e composti organici volatili, proprio quegli agenti che possono provocare danni alla salute se respirati in quantità elevate. L’incidenza delle concentrazioni di questi inquinanti nella diffusione di patologie dell’apparato respiratorio è infatti riconosciuta da diverse indagini epidemiologiche a livello mondiale. Il progetto Viaas del Centro Controllo Malattie del Ministero della Salute valuta per l’Italia in circa 30.000 decessi l’anno, l’impatto del solo particolato fine (emesso da gasolio, biomassa, ecc…) sulla salute.
La situazione diventa quindi critica in alcune aree sensibili come Pianura Padana, Roma e Napoli, dove, anche senza il contributo della biomassa, le concentrazioni di particolato restano superiori non solo ai 10 ug/m3 considerati dall’Oms come soglia di pericolosità, ma anche ai limiti europei.
Ed è proprio partendo da questi dati che si è sviluppato l’ultimo studio di ENEA, intitolato “Gli impatti energetici e ambientali dei combustibili nel settore residenziale”. Lo studio, basandosi su recenti analisi sulla qualità dell’aria che, in alcune zone del Paese, evidenziano una presenza di inquinanti atmosferici e composti tossici elevata, analizza i possibili scenari energetici del futuro, tenendo conto delle attuali e delle possibili norme europee sulle emissioni di impianti industriali e autoveicoli.
Tra gli sviluppi considerati vi sono quello “di riferimento” a legislazione vigente, quello “a biomassa costante”, ossia con consumo di biomasse non superiore alle stime Istat del 2014 (circa 19 Mton di biomasse legnose) e quello “decarbonizzazione 2030” in linea con gli obiettivi europei su energia e clima al 2030. In tutti i casi, i risultati sottolineano che le emissioni complessive di inquinanti, come il particolato primario, si riducono al 2030 per effetto del miglioramento delle tecnologie adottate, ma le riduzioni sono minori laddove si ha un aumento dell’utilizzo di biomassa nel settore residenziale.
Caminetti e stufe a legna devono quindi essere aboliti, come già successo a Londra ed a Parigi? Sembrerebbe una misura ridicola per svariati motivi, primo fra tutti il fatto che, in questo modo, non verrebbero in alcun modo risolte le problematiche dovute all’inquinamento, andando invece, per risolvere un problema, ad aggravarne altri. Ed infatti anche il parere dell’ENEA risulta differente.
Nelle conclusioni dello studio, l’ente non suggerisce quindi di vietare la produzione di energia termica attraverso la biomassa, ma solo di controllarla. Viene dunque suggerito di condizionare le politiche di sostegno alle biomasse per uso residenziale all’uso delle più efficienti tecnologie disponibili, rendere più rigorosi gli standard emissivi delle tecnologie incentivabili e rimodulare le politiche di incentivi tenendo conto degli impatti negativi sulla salute provocati dalle emissioni di inquinanti atmosferici come il particolato.
Questo perché, è bene chiarirlo, il pericolo non è legato esclusivamente alla combustione della biomassa, la quale contribuisce ad aggravare una situazione causata da tutt’altri fattori, imputabili principalmente al settore del trasporto e dell’industria.
Ing. Alfero Daniele
Professional Team
Collaboratore tecnico